Storia universale della natura e teoria del cielo
Immanuel Kant aveva ventisette anni quando lesse una recensione del libro “An original Theory of the universe” dell’inglese Richard Wright. Era il 1751 e il giovane Kant, ancora lontano dalla pubblicazione del suo primo capolavoro, la “Critica della ragion pura”, rimase colpito dalla genialità del pensiero di Wright. Questi affermava, per la prima volta, che gli “ammassi di stelle” (che oggi chiamiamo galassie) nell’universo dovessero essere o di forma sferica o a disco. Inoltre, spinto dalla lettura di “Paradise Lost” di John Milton e sulla scia della rivoluzione copernicana, teorizzò la presenza di nuovi, infiniti sistemi solari che avrebbero ospitato altrettanti mondi. Notate bene: non c’era ancora la benché minima prova che quanto appena detto fosse vero, sebbene oggi sia dato per scontato! Come immaginerete, Kant non era proprio la persona da lasciarsi scappare un commento a una così succulenta teoria: fu così che nel 1755 pubblicò il suo saggio “Storia universale della natura e teoria del cielo”.
Rispetto a Wright, Kant fece ulteriori passi avanti: dichiarò che i dischi rotanti di stelle ( ovvero le galassie a disco) dovessero essere sorretti dall’equilibrio tra forza centrifuga e gravità, e che questi dischi fossero proprio le nebulose che gli astronomi osservavano già all’epoca con i loro strumenti (che erano molto rudimentali rispetto a quelli attuali e non consentivano di risolvere i dettagli che vediamo oggi). È giusto sottolineare che quest’ultima visione fu accettata solo più di un secolo e mezzo dopo, negli anni ’20 del XX secolo. Kant fece di più: se le stelle si organizzano in galassie come la Via Lattea, ipotizzò, allora le galassie devono potersi organizzare in ammassi di galassie, e questi in ammassi di ammassi. Oggi osserviamo queste strutture, lo studio delle quali è un potente test per le teorie di formazione dell’universo.
Tuttavia, la caratteristica più innovativa dell’universo kantiano era il carattere evolutivo: per la prima volta, si introdusse il concetto che l’universo è in evoluzione e che nulla di ciò che lo popola ha vita eterna. Da questa considerazione, sebbene in maniera rudimentale e imprecisa, Kant teorizzò che la materia residua dalle strutture “morte” dovesse riorganizzarsi e riciclarsi per poi rinascere sotto forma di altre stelle e pianeti. È eccezionale, oggi, avere la certezza che tutto quanto Wright e Kant avevano predetto, prevalentemente su base filosofica, è vero. Non credete?
Fonte: J.D. Barrow, “Il libro degli universi”