Il mistero della materia oscura: un riassunto.
Era il 1976 quando l’astronoma Vera Rubin si rese conto che, anche a grandi distanze dal centro delle galassie, la velocità delle stelle e del gas tende a essere costante anziché a diminuire, come vorrebbe invece la teoria. La scoperta ebbe una enorme risonanza nel mondo scientifico perché indicava la presenza di un altro tipo di materia, che non interagisce con la materia come la conosciamo noi se non tramite la forza di gravità, e non emette luce: la materia oscura (o dark matter).
Dalla scoperta della Rubin, si sono ottenute molte altre prove del fatto che questa bizzarra forma di materia debba esistere.
Infatti, risolvendo delle complesse equazioni che descrivono l’evoluzione dell’universo, si trova che in mancanza di Dark Matter oggi non dovrebbero ancora esistere le galassie (e di conseguenza nemmeno noi che ci viviamo dentro). La cosa davvero spettacolare è che una serie di osservazioni indipendenti effettivamente vincolano il contenuto di materia “ordinaria” a essere meno del 20% di tutta la materia contenuta nell’universo, dando quindi una indicazione della presenza di una componente oscura.
In realtà, già Fritz Zwicky, ben noto astronomo del ‘900 (sia per la sua bravura che, pare,per la sua genuina antipatia), nel 1933 si era scontrato con un problema simile a quello incontrato da Vera Rubin, ma stavolta inerente alla dinamica degli ammassi di galassie.
In sostanza, misurando le velocità delle galassie nell’Ammasso della Chioma, Zwicky si rese conto che le misure implicavano una massa molto maggiore della massa di materia visibile nell’ammasso. La scoperta non ebbe molta risonanza all’epoca, ma oggi la tecnica impiegata da Zwicky è ancora ampiamente utilizzata nello studio degli ammassi di galassie.
Nel marzo del 1979 si scoprì una coppia di quasar “vicini”, che presentavano caratteristiche pressoché identiche. Gli spettri (cioè l’intensità con cui le diverse frequenze di luce vengono emesse) mostravano che la luce proveniente dai due oggetti doveva essere transitata in una regione ricca di gas e polveri, la quale avrebbe dovuto essere quindi incredibilmente omogenea su distanze enormi per produrre il medesimo effetto sugli spettri dei due quasar. Si concluse allora che si stava osservando un fenomeno predetto (indovinate?) da Einstein, il lensing gravitazionale.
Esso consiste nel fatto che una grande massa, detta lente, interposta tra l’osservatore e l’oggetto, può deformare lo spazio al punto da creare degli effetti di distorsione,
magnificazione e sdoppiamento dell’immagine dell’oggetto stesso. Tipicamente, le masse richieste per lo strong gravitational lensing sono molto
maggiori della massa visibile dell’oggetto che agisce da lente: ancora una volta, deve
entrare in gioco la dark matter.
La domanda su cui la comunità scientifica si arrovella da una quarantina di anni a questa parte è dunque: cosa diavolo è questa materia oscura? Esistono al momento molte teorie al riguardo, le quali si basano su premesse completamente diverse. Queste teorie possono essere suddivise in due grandi categorie: una corrente di pensiero afferma che la dark matter sia composta da particelle elementari (“approccio particellare”), mentre l’altra postula una nostra incomprensione profonda della natura della gravità (“approccio gravitista”). Sfortunatamente, entrambe queste idee non hanno ancora avuto un particolare successo.
Dati i recenti successi della fisica delle particelle, si ritiene ragionevolmente che si possano osservare a LHC, l’acceleratore di particelle di Ginevra, delle particelle “esotiche” che vengono teorizzate nell’ambito di estensioni del Modello Standard della particelle elementari. Tuttavia, nonostante le energie elevatissime raggiunte in seguito all’ultimo upgrade dell’acceleratore del 2015, di particelle simili ancora non è stata trovata traccia. Oltre a LHC, anche telescopi spaziali come Fermi sono alla ricerca di eventi luminosi associabili alla dark matter, ma non sono presenti segnali inequivocabilmente riconducibili a essa (*).
Secondo l’approccio gravitista, invece, Einstein non aveva del tutto ragione. Le equazioni della Relatività Generale potrebbero essere infatti solo il limite di una teoria ancora più estesa all’interno della quale non ci sarebbe alcun bisogno della Dark Matter. In altre parole, noi usiamo la Relatività Generale per descrivere i fenomeni in cui interviene la gravità, e così facendo troviamo delle inconsistenze che ci portano a teorizzare l’esistenza di questa strana materia che nessuno finora ha mai rivelato direttamente (**). Tuttavia, le inconsistenze osservate potrebbero essere solo frutto del fatto che non abbiamo ancora una teoria adeguata della gravità. D’altra parte, questo approccio soffre di problemi non meno gravi rispetto all’approccio precedente. Infatti è necessario trovare una teoria che sia in grado di spiegare, ad esempio, perché gli ammassi di galassie hanno la dinamica che osserviamo ma “lasciando in pace”, per esempio, la dinamica del Sistema Solare, che con la Relatività funziona bene. Sembra un fatto banale, ma è di primaria importanza che sia così, e non è ancora stata trovata una “buona” teoria alternativa della gravità.
Concludendo, oggi abbiamo innumerevoli prove che ci dicono che c’è qualcosa che continua a sfuggirci. Nei prossimi anni, numerosi esperimenti saranno impegnati nella soluzione dell’enigma della materia oscura. Riusciremo a capire davvero di cosa si tratta?
[Lorenzo]
(*) Precisazione doverosa: la dark matter è “oscura” perché non interagisce con la materia ordinaria, ma se una particella di materia oscura incontra la sua antiparticella allora esse si annichilano emettendo luce.
(**) Questo non è del tutto corretto: l’esperimento DAMA ha ottenuto un segnale compatibile con la rivelazione di WIMPs, uno fra i tipi di dark matter teorizzati, ma il segnale non è risultato riproducibile da altri esperimenti.