L’Angolo dei Paradossi: il paradosso di Anfibio
Cari utenti,
da oggi vorremmo presentarvi una nuova curiosa rubrica. Questa volta non parleremo di buchi nere, stelle di neutroni o asteroidi ma bensì dei paradossi.
Ma cosa è un paradosso?
Citiamo l’enciclopedia treccani per un momento: “Affermazione, proposizione, tesi, opinione che, per il suo contenuto o per la forma in cui è espressa, appare contraria all’opinione comune o alla verosimiglianza e riesce perciò sorprendente o incredibile. Il termine fu usato già dagli stoici, per designare quelle tesi, specialmente etiche, che apparivano contrastanti con l’esperienza comune (per es., che il dolore non fosse un male); Paradoxa stoicorum è il titolo di un’opera di Cicerone (46 a.C.).
È stato anche definito come “una verità che poggia sulla testa per attirare l’attenzione”. Ed è proprio la vostra attenzione che vogliamo attirare, sperando di suscitare in voi una certa curiosità!
I paradossi che andremo ad analizzare in questa rubrica assumono fondamentalmente tre significati:
1) un’affermazione che sembra contraddittoria ma che, in realtà, è vera;
2)un’affermazione che sembra vera ma, in effetti, contiene una contraddizione;
3)un’argomentazione valida o corretta che porta a conclusioni contraddittorie.
Ci auguriamo di suscitare in voi, come già detto sopra, una forte curiosità. Ragionare su un paradosso ha un effetto simile al ragionamento per la risoluzione di un indovinello: stimola la mente e favorisce un certo tipo di ragionamento. Quindi, al posto dei soliti cruciverba o indovinelli, noi vi proponiamo qualcosa di più stimolante!
Il Paradosso di Anfibio
Il primo paradosso che vi proporremo sarà il paradosso di Anfibio. Originariamente formulato da James Cargile, professore di filosofia all’Università della Virginia.
“Immaginiamo che una pozza d’acqua contenente Anfibio, un girino, sia filmata per tre settimane di seguito. Alla fine della terza settimana la pozza contiene una rana. Posto che la cinepresa funzioni esattamente a 24 fotogrammi al secondo si avranno circa 43 milioni e mezzo di fotogrammi. Supponiamo che essi siano numerati da 1 a 43.500.000, nell’ordine in cui sono stati filmati. Sembra ovvio che nel fotogramma 1 si veda un girino mentre non lo si vede più nell’ultimo fotogramma. Tuttavia, se è così, ne segue logicamente che nella sequenza, deve esistere un fotogramma in cui si vede un girino seguito immediatamente da uno dove si vede una rana. La validità del ragionamento è un risultato dell’applicazione del principio del numero minimo, un teorema di logica matematica secondo cui, in qualunque serie da 1 a n, se 1 ha un certo predicato, o particolari caratteristiche, e n non le ha, deve esistere un ” primo numero” (entro l’insieme dei numeri che costituiscono la serie) che non abbia tale predicato. In altre parole, ci sarà un fotogramma che mostra un girino e dopo un ventiquattresimo di secondo mostrerà una rana. la maggior parte delle persone dubita dell’esistenza di tale fotogramma; infatti, come si dovrà fare per individuarlo?”
Bene, come possiamo spiegare questo paradosso?
Dobbiamo partire da un altro paradosso e cioè quello formulato dai filosofi greci della scuola di Megara chiamato “il paradosso del sorite” (sorites, parola greca che significa “mucchio”):
“un mendicante si augura di ottenere in elemosina abbastanza monete da poter diventare un uomo ricco, ma uno sconosciuto gli rivela che il suo sogno non è realizzabile. Dopotutto, se un uomo ha una sola moneta non è ricco, e quando ne riceve un’altra, ancora non è ricco. Una volta accettato il principio che l’aggiunta di una sola moneta non rende ricco il mendicante e applicando di volta in volta tale principio, il mendicante deve concludere che, indipendentemente da quanti soldi riceverà, non sarà mai ricco.”
La struttura del ragionamento può ridursi alle seguenti asserzioni:
-se un uomo ha una moneta, non è ricco;
-se un uomo non è ricco, ricevendo un’altra moneta non diventerà ricco;
-perciò, indipendentemente dal numero di monete ricevute, un uomo non diventerà mai ricco.
Da un punto di vista logico l’argomento è valido: se le premesse sono vere allora anche la conclusione deve essere vera.
Quale è allora il problema? Consideriamo le tre leggi fondamentali della logica classica:
-Se qualcosa è A allora è A (principio di identità): se sono un essere umano, allora sono un essere umano.
-Una cosa è o A o non-A (legge del terzo escluso): o io sono un uomo o sono un non-uomo.
-Nessuna cosa può essere A e non-A (legge di non contraddizione): non si può dare il caso che io sia un uomo e un non-uomo.
In base alle leggi appena elencate appare ovvio che una proposizione A e la sua negazione non possono avere uguale valore di verità. Tuttavia, la versione del paradosso del mucchio ci induce a credere che è possibile che siano false contemporaneamente, quindi occorre una via d’uscita.
Un punto a nostro favore è la nozione di significatività: ogni moneta aggiunta non definisce la linea di separazione necessaria per distinguere l’essere non-ricco dall’essere ricco. Ma prese nel loro insieme, le monete determinano una differenza reale; e, se sono abbastanza, possono rendere ricca una persona.
Ed eccoci tornati al nostro paradosso di Anfibio: bisogna ricondurlo ad elementi quantificabili.
Quindi esiste un momento in cui Anfibio cessa di essere girino e un momento successivo in cui è rana. Può darsi che non si riesca ad individuare quale sia l’istante, ma ciò non fa alcuna differenza: la logica obbliga ad ammettere che questo istante deve esistere.
Quindi il momento del processo in cui Anfibio muta da girino a rana sfugge continuamente nel successivo riprodursi di nuovi intervalli.