Dal Giappone all’ISS: intervista a Marco Casolino, primo ricercatore all’INFN
Marco Casolino è un Fisico che opera presso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, dove è Primo Ricercatore; tiene corsi sui raggi cosmici e strumenti spaziali presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma Tor Vergata e collabora con l’istituto giapponese RIKEN, il più grande istituto di ricerca del Giappone, noto per la ricerca di altaqualità in una vasta gamma di discipline scientifiche.
Marco si occupa di fisica fondamentale (materia, antimateria e ricerca di materia oscura), di fisica delle astroparticelle di alta energia (esperimenti PAMELA e JEM-EUSO) e di metodi di protezione degli astronauti dalla radiazione spaziale.
Ha preso parte alla costruzione ed alle campagne di lancio di una dozzina di esperimenti posti su veicoli spaziali, sulla stazione spaziale Mir e sulla Stazione Spaziale Internazionale, addestrando gli equipaggi all’uso di rivelatori per lo studio dell’ambiente radioattivo nello spazio.
Ha all’attivo più di duecento pubblicazioni di rilievo, su riviste scientifiche internazionali, ma oltre a questo è anche uno scrittore: nel 2011 ha pubblicato un saggio “Come Sopravvivere alla Radioattività” ed un romanzo ambientato in Giappone: “Grikon”.
Cura un blog su temi scientifici, La Curva dell’Energia di Legame, e collabora con il podcast scientifico Scientificast.it.
Ciao Marco, è sempre un piacere scambiare due chiacchiere con te e leggere i tuoi articoli in cui tratti un argomento serio come la fisica particellare dandogli sempre un tono scherzoso. Come stanno i tuoi Midi-chlorian?
Siamo seri. Come ha detto anche Zerocalcare, con “The last Jedi”, se non altro abbiamo cancellato la riduzione scientista della Forza in termini di batteri e ripristinato la visione della saga originale.
Da bambini tutti volevamo fare gli esploratori, gli astronauti o i supereroi, ma pochi i ricercatori, nonostante paradossalmente sia ciò che permette di esplorare oggetti generalmente irraggiungibili, dalle galassie ai quark. Tu cosa volevi essere? Mi pare di capire che per te cartoni animati e film di fantascienza, siano stati una sorta di “battesimo del volo” verso lo studio della fisica?
Sicuramente la fantascienza ha avuto un ruolo fondamentale nella mia formazione. Verne, Asimov, Herbert, Pohl (per citarne solo alcuni, ma anche il fantasy soprattutto con Tolkien) nei libri e tutta l’infornata di cartoni animati anni ’70. Da bambino anche io ovviamente avrei voluto fare l’astronauta, ma poi appunto mi sono dovuto accontentare di costruire apparati da mandare nello spazio, che è quasi (quasi!) altrettanto divertente. Negli anni ho avuto la fortuna di conoscere e collaborare con vari ricercatori, ingegneri e astronauti coinvolti nel volo spaziale, dai tempi della vecchia stazione russa Mir all’odierna ISS.
Come nasce la tua passione per la fisica vera, quella delle sudate carte, degli esami interminabili e complessi all’università?
La passione per la scienza c’è sempre stata, al momento di iscrivermi all’università c’è stata forse una flebile incertezza se fare fisica o ingegneria, e poi hai vinto fisica. Al tempo era pre-riforma quindi in teoria si trattava di 18 esami (scritti e orali) in 4 anni. Si trattava (e si tratta) di studiare molto, ma non è mai stato un vero peso, dato che erano tutti (o quasi) argomenti molto interessanti. Moltissima matematica e laboratori, dove si impara la fisica ‘vera’ di tutti i giorni.
Vista la tua esperienza di ricercatore, le soddisfazioni, le affermazioni, ma anche il duro sacrificio che richiede, cosa consiglieresti ad un giovane che intende seguire questi studi e la strada della ricerca?
La situazione è sicuramente più difficile di quando io fui assunto nell’INFN (1999). Al tempo le assunzioni erano più frequenti sia negli enti di ricerca che nelle Università. Poi per almeno 15 anni si è trattato di uno stillicidio in cui era quasi impossibile poter far ricerca a tempo indeterminato e la maggior parte dei miei colleghi di poco più giovani erano (e sono) costretti ad uno stillicidio di contratti e contrattini brevi. Negli ultimi anni sono stati fatti più concorsi che hanno parzialmente ridotto questo problema.
La formazione universitaria di laurea e dottorato in Italia (almeno per la fisica e per le materie scientifiche, probabilmente anche per le altre ma sulle altre facoltà non ho esperienza diretta) è di primissimo livello e sicuramente confrontabile se non superiore a molte delle università straniere. Nonostante tutti i problemi logistici e strutturali che possiamo avere in Italia il rapporto costo/formazione rimane uno dei migliori al mondo.
Dopo il dottorato, però, molta gente deve andare all’estero per proseguire gli studi post-dottorato. Anche all’esterno non è facile ed è necessario muoversi continuamente. Anche in Giappone, mutatis mutandis vi è una crisi legata alla carriera di ricercatori estremamente abili e specializzati che però non riescono ad essere assunti a tempo indeterminato.
Oltre che Fisico di professione sei anche estimatore ed appassionato lettore di fumetti, manga ed anime. Hai scritto un romanzo in cui Adriano, il protagonista cerca di salvarsi la vita brancolando nei meandri più oscuri del Giappone contemporaneo e in quelli non meno pericolosi di quello del passato. Adriano si imbatte, rimanendone folgorato, in formule di cosmologia e fisica dei quanti. Ha qualcosa di autobiografico questo libro? Come è nata l’idea?
Grikon è un esperimento che raccoglie molte mie passioni, la fisica, i cartoni, la storia ed il Giappone. Adriano, il personaggio principale si ispira non a me, ma a vari miei colleghi ed amici che appunto studiavano all’estero e/o non hanno potuto proseguire la carriera nella ricerca, perché il professore con cui collaboravano è venuto a mancare.
Invece molti dei microepisodi di quotidianità (le bibite che costano uguale indipendentemente dalla grandezza, la street fashion, i trasporti…) sono basati su esperienze dirette.
L’idea si è sviluppata gradualmente, stratificandosi nelle varie stesure del libro (che è proprio come NON fare quando si scrive un romanzo), ma credo che il nocciolo risieda proprio nelle cel dei cartoni animati, ossia gli acetati originali che, un frame alla volta, costituiscono le scene in apparente movimento. In Giappone c’è un fiorente mercato di questo materiale e negli anni (soprattutto in passato, quando si trovavano più facilmente) ne ho collezionate alcune.
Vivi in Giappone da qualche tempo, senti di essere uno dei nostri “cervelli in fuga” o ritieni la tua essere una libera scelta, non dettata dai limiti, purtroppo evidenti, della mancanza di fondi per la ricerca in Italia?
Non sono sicuramente un cervello in fuga sia per l’opinabile presenza del cervello, ma soprattutto perché ho la fortuna di fare ricerca a cavallo tra Italia e Giappone. L’esperimento EUSO non sarebbe realizzabile con le sole forze italiane o giapponesi: coinvolge infatti di una collaborazione di circa 18 nazioni che si dividono compiti e costi e ognuno fa una parte, a seconda delle possibilità. Anche in Giappone fare ricerca non è poi così facile e bisogna combattere anche qui per fondi e risorse.
L’Italia è il paese delle illogicità, spesso i ricercatori sono visti come degli stregoni o sono semplicemente ignorati. Anche in Giappone l’atmosfera che si respira è simile?
Probabilmente no. L’impressione è di una nazione abituata a convivere molto di più con la tecnologia, sia in casa che fuori, ad esempio nei trasporti. In generale c’è più fiducia verso il governo (anche se dopo Fukushima le cose sono cambiate un po’) per cui nessuno si sognerebbe di mettere in discussione l’utilità dei vaccini o la follia delle scie chimiche.
Io più che come stregoni, vi vedo come dei supereroi. Se dovessi scegliere un supereroe, a quale ti sentiresti di assomigliare di più?
Normalman di Lillo e Greg di 610. I ricercatori sono tutto fuorché supereroi, anche se ognuno di noi desidererebbe esserlo.
Hai all’attivo centinaia di pubblicazioni nel campo della fisica fondamentale e fisica delle astroparticelle, materie di difficile comprensione per i non “addetti ai lavori”. Quale è stato il lavoro più complesso, ma anche più entusiasmante che hai realizzato?
Più complesso sicuramente l’apparato Pamela, uno spettrometro magnetico che ha operato nello spazio per 10 anni (dopo 10 e più per costruirlo) a bordo di un satellite russo per studiare l’antimateria nei raggi cosmici. A questo, abbiamo lavorato in tantissimi per parecchi anni, ed è stato quello che ci ha dato più soddisfazioni.
Nel campo degli studi sulla materia oscura, quali sono gli ultimi progressi della ricerca? E quale è il tuo punto di vista sui passi che la scienza potrà compiere in tal senso nel prossimo breve periodo?
Sulla materia oscura, bohhhh…. Anche con Pamela abbiamo rivelato un segnale nel flusso di positroni (elettroni ma positivi) nei raggi cosmici che, potrebbe essere materia oscura ma probabilmente non lo è, anche perché l’assenza di segnali sia dagli acceleratori del Cern che dai rivelatori sotterranei ci sta lasciando tutti molto molto perplessi. Poi potrebbe essere che la ‘svolta’ arrivi domani, ma per come stanno le cose sembra sempre più difficile. Probabilmente la natura ci sta giocando uno scherzo di cattivo gusto.
Per finire, nel tuo curriculum si legge che stai lavorando al progetto K-EUSO. Sarà un osservatorio astronomico di particelle che, osservando l’atmosfera della Terra, ci dirà quante particelle cosmiche la colpiscono, usandola in pratica come un rivelatore di particelle. Prima di salutarci, puoi spiegarci meglio come funzionerà questo strumento?
EUSO, ha lo scopo di studiare i raggi cosmici di altissima energia che provengono da altre galassie. Per realizzare il nostro obiettivo principale, un telescopio posto a bordo della Stazione Spaziale (K-EUSO appunto), abbiamo fatto due voli con palloni stratosferici (dal Canada e dalla Nuova Zelanda) e dovremmo lanciare un telescopio più piccolo all’interno della ISS a fine anno. In Giappone ci occupiamo soprattutto della realizzazione delle lenti di Fresnel (ossia piatte e zigrinate per resistere alle vibrazioni del lancio) dell’ottica del telescopio e dei rivelatori che compongono la superficie focale (come il sensore i una macchina fotografica), in Italia invece realizziamo l’elettronica di lettura ed immagazzinamento dei dati. La meccanica del telescopio è invece russa, come il razzo (Soyuz) e la capsula (Progress) con cui contiamo di lanciare l’apparato.
Con molta invidia per il tuo meraviglioso lavoro ti libero. Con questo abbiamo finito, ti ringrazio moltissimo per averci dedicato parte del tuo preziosissimo tempo per spiegarci qualcosa in più di affascinanti argomenti… e complimenti ancora per il tuo Lavoro!
Grazie a te e a tutti i lettori. Se volete venire a visitare il laboratorio a Tor Vergata siete sempre i benvenuti!