No, le nubi non si estingueranno…
…ma potrebbero essere di meno. Da uno studio su Nature Geoscience si apre la possibilità di un nuovo effetto relativo all’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera. Alcuni tipi di nube, responsabili della riflessione di una fetta consistente di radiazione solare, potrebbero disperdersi, accelerando in tal modo il Riscaldamento Globale.
Il Riscaldamento Globale è frutto del bilancio tra l’energia entrante in atmosfera e quella uscente. La fonte primaria dell’energia è il Sole: i raggi solari arrivano sulla Terra, il 30% di essi vengono riflessi dalle nubi ed una parte viene assorbita dai processi atmosferici, ma la maggior parte dell’energia riesce ad arrivare indenne sulla superficie terrestre. Quest’ultima si riscalda e riemette energia alle frequenze infrarosse, frequenze che in parte vengono assorbite dai cosiddetti gas serra: vapore acqueo, anidride carbonica e metano in primis. L’atmosfera si riscalda e le differenze di temperatura tra giorno e notte, equatore e poli si mitigano, rendendo possibile la vita sulla Terra. Quando però il riscaldamento è eccessivo o troppo rapido, gli effetti possono essere imprevedibili.
Le questioni si complicano ulteriormente per il fatto che i fattori che controllano il clima sono complessi e concatenati tra di loro in maniera spesso tutt’altro che intuitiva. Non deve sembrare quindi strano che di quando in quando si scoprano nuovi meccanismi che, direttamente o indirettamente, sono legati ai processi di Riscaldamento Globale.
Lo studio pubblicato su Nature Geoscience prevede che, se i gas serra in atmosfera aumenteranno di circa tre volte, i banchi di nubi nei pressi delle coste di California, Perù e Namibia potrebbero disperdersi. In queste regioni si creano densi banchi di stratocumuli in grado di riflettere tra il 4 ed il 7% della radiazione solare incidente. E, se lo scenario di emissioni resterà quello attuale, ciò avverrà in circa un secolo, portando ad un aumento di temperatura media globale di circa 8°C oltre quello dovuto ai gas serra stessi. Se questo scenario diventerà realtà il clima sarà simile a quello di 50 milioni di anni fa, nell’Artico non troveremmo più ghiacci, e non sarebbe raro vedere palme crescere in Alaska. Nei loro modelli, quando i ricercatori hanno aumentato la concentrazione di anidride carbonica globale dalle attuali 400 parti per milione ad un totale di 1200 parti per milione, l’atmosfera si è scaldata e gli stratocumuli hanno iniziato a disperdersi in nubi più piccole. Ciò avverrebbe perché queste nubi hanno bisogno di emettere energia verso l’alto per mantenersi stabili, ma se l’atmosfera diventa troppo calda, non riescono più a farlo.
Ricerche come questa vengono troppo spesso presentate con toni allarmistici, ma dovrebbero essere presentate con la dovuta incertezza, senza nulla togliere alla preoccupazione. Simulare tutte le nubi, il loro moto e comportamento in relazione alle variazioni globali e locali, è un’impresa titanica ed è sempre stato uno dei principali problemi dei modelli climatici. Semplicemente, non esiste abbastanza potenza di calcolo che possa tenere in considerazione tutto. La sfida di qualunque modello fisico è quindi quella di applicare le semplificazioni adatte che permettano di ridurre la potenza di calcolo necessaria pur continuando a costruire previsioni plausibili e consistenti con le osservazioni atmosferiche. Le semplificazioni apportate ai modelli potrebbero essere eccessive ed aumentare l’incertezza sui risultati, ma è importante che questo risultato preliminare porti ad ulteriori approfondimenti su quello che si presenta come un ulteriore fattore di rischio per quanto riguarda il Riscaldamento globale.
L’allarme è reale, è l’allarmismo ad essere fuori luogo.
Fonte: Nature Geoscience