Lanci spaziali e riscaldamento globale
Nel futuro i lanci spaziali saranno sempre più frequenti, una ragione sufficiente per iniziare a preoccuparsi del loro impatto sul clima, condurre studi a riguardo e trovare le migliori soluzioni.
Partiamo da una premessa: quasi non esiste letteratura scientifica riguardo l’impatto ambientale dei lanci spaziali. Si tratta di un argomento poco affrontato e di cui si sta iniziando a parlare proprio in questi anni (ad esempio con il progetto Clean Space dell’ESA). La cosa dovrebbe stupire, perché il cambiamento climatico è un argomento ormai al centro del dibattito quotidiano, e spesso sono proprio le stesse agenzie spaziali ad essere promotrici della sensibilizzazione scientifica sull’argomento e sono proprio le agenzie spaziali a fornire la maggior parte dei dati utili per misurare lo stato della nostra atmosfera. Ad ogni modo, cerchiamo di capire un po’ cosa avviene durante i lanci spaziali e quali possano essere i fattori di rischio per il clima.
Qualunque sia il metodo di propulsione, un razzo deve essere in grado di produrre abbastanza energia da permettere alla strumentazione che si vuole lanciare di fuggire dalla gravità terrestre. Attualmente i motori più utilizzati per i lanci spaziali possono sfruttare due tipi di propellenti: quelli liquidi o quelli solidi.
I primi utilizzano due liquidi che reagendo tra di loro producono energia. Uno dei due è una sostanza ossidante, mentre l’altro è un combustibile. Nel momento in cui combustibile ed ossidante vengono mescolati, avviene la reazione e la produzione di energia. I Falcon-9 della SpaceX ed il primo stadio del Saturn V del programma Apollo utilizzavano propellenti liquidi. I propellenti solidi contengono invece al loro interno già le due sostanze che andranno a reagire. Il Solid Rocket Booster, che forniva la maggior parte della spinta allo Space Shuttle, utilizzava proprio un propellente di questo tipo. Entrambi i tipi di propellente hanno i loro pro e contro, quello liquido è più sicuro e controllabile, ma quello solido è più economico. Dipende quindi soprattutto da quale scopo ha il lancio, e da quanto investimento viene valutato come accettabile per la missione, ma parlare di ciò non è in ogni caso l’obiettivo di questo articolo.
I propellenti liquidi più comuni sono formati da idrogeno liquido (H2) o idrazina (N2H4) come combustibili, e da ossigeno liquido (Ox) o tetraossido di diazoto (N2O4) come ossidanti. Quelli solidi comunemente da perclorato di ammonio (NH4ClO4) con alluminio (Al) tenuti insieme da polibutadiene (una gomma sintetica usata ad esempio anche per gli pneumatici). La reazione tra ossidanti e combustibili produce vapore acqueo (H2O) e ossido di azoto (NO) per i propellenti liquidi, e acido cloridrico (HCl) ed ossido di alluminio (Al2O3) per quelli solidi a base di perclorato di ammonio. L’idrazina produce inoltre nitrato di idrogeno (HNO3), e se si usa kerosene vengono liberate anche anidride carbonica (CO2) e particelle di fuliggine (particelle solide a base di carbonio).
Circa l’80% dei prodotti scartati dalle reazioni sono vapore acqueo, anidride carbonica, fuliggine e alluminio, quindi concentriamoci su questi.
- Il vapore acqueo non è un problema. Nella maggior parte dei casi crea solo delle nubi di cristalli di ghiaccio nella mesosfera. Ma si tratta di un prodotto non duraturo ed in generale tutte le nubi riflettono radiazione solare dando un contributo positivo al riscaldamento globale.
- L’anidride carbonica è un problema, questo ormai lo sappiamo tutti. In ogni caso anche se i lanci saranno più frequenti in futuro la loro produzione di anidride carbonica resterà trascurabile rispetto alle altre sorgenti, come il traffico aereo.
- Il particolato fuligginoso si accumula nella stratosfera, dove non c’è pioggia a spazzarlo via. Nel tempo queste particelle possono creare una nube in grado di assorbire radiazione solare che va in questo modo a scaldare la stratosfera invece che la superficie.
- Per quanto riguarda l’allumina, non sappiamo ancora di preciso quale sia il suo effetto, potrebbe riflettere la radiazione solare indietro nello spazio così come fanno le nubi, ma potrebbe riflettere anche la radiazione uscente dalla Terra.
Sembra quindi che ci sia la possibilità che particolato e allumina possano essere più utili che dannosi alla causa. Ma è davvero così? Purtroppo no, perché scaldare la stratosfera danneggia lo strato di ozono che si trova proprio a quelle altitudini. Distruggendo l’ozono, a Terra può arrivare un maggior quantitativo di radiazione solare, e di quella più dannosa fatta di energetici ultravioletti. Inoltre non essendo presente letteratura scientifica a riguardo, non possiamo sapere se effettivamente le conseguenze ipotizzate di quelle sostanze nell’alta atmosfera coincidano con quelle reali.
La soluzione a questo problema non è ovviamente quella di non lanciare, ma quella di condurre studi a riguardo e di ideare le dovute soluzioni e precauzioni che tali studi richiederanno. L’industria e le agenzie spaziali, le uniche che possono arrivare ad emettere così in alto nell’atmosfera, si dovranno fare carico delle spese di tali ricerche.
Fonte: Scientific American, Asbronomers, SpaceNews