Vapore acqueo su altri mondi
Una super-Terra con vapore acqueo nella fascia abitabile della sua stella madre. È il risultato di una ricerca condotta tramite il Telescopio Spaziale Hubble e pubblicata su Nature Astronomy.
Ormai alla scoperta di pianeti al di fuori del Sistema Solare abbiamo le orecchie abituate, per quanto la sfida tecnologica che la loro ricerca richiede dovrebbe stupirci ogni volta. Diversa storia è quando, pur nella sua lontananza, il pianeta in questione ha qualcosa che lo avvicina alla nostra Terra. “Acqua”, “abitabile”, “super-Terra” sono le parole che probabilmente ricorrono di più quando si parla di pianeti extrasolari, perché immediatamente fanno ingranare la marcia superiore alla nostra fantasia, lasciandoci fantasticare su mondi lontani e sulla nostra possibile espansione fuori dal Sistema Solare. Non c’è niente da fare, l’istinto esploratore di Homo sapiens non si ferma di fronte a nulla.
Nella maggior parte dei casi, le parole riferite alla Terra vengono però usate per confronto con il pianeta scoperto, per descrivere quanto sia diverso dal nostro. La maggior parte dei pianeti extrasolari scoperti ha infatti una massa di molto superiore a quella terrestre, sono gassosi, molto simili a Giove e molto più vicini della Terra alla propria stella. Dei 4044 pianeti extrasolari scovati finora, solo qualche centinaio è roccioso e situato all’interno della fascia abitabile del proprio sistema planetario. Questo è naturale, perché i pianeti più grandi e vicini alla stella sono i più facili da scovare, perché più efficaci nel nascondere e modificare la luce stellare nel momento in cui si interpongono tra noi e la stella.
Il pianeta su cui il team dell’University College London ha scovato segni di vapore acqueo è K2-18b, ossia il primo pianeta del Sistema di K2-18, una piccola nana rossa situata nella costellazione del Leone, a 111 anni luce di distanza da noi. Il pianeta è una super-Terra, un pianeta terrestre ma più grande della Terra, circa il doppio in questo caso, e la sua massa è circa 8 volte la nostra.
Trovare un pianeta extrasolare è sempre un’impresa, studiarne l’atmosfera è una grande impresa, e studiare l’atmosfera di un piccolo pianeta terrestre è un’impresa ai limiti della tecnologia. Si tratta in pratica di studiare il piccolissimo segnale della luce che dalla stella passa attraverso l’atmosfera del pianetino prima di arrivare a noi, cosa che può avvenire solo durante un transito del pianeta sulla nostra linea di vista. Ma essendo il pianeta piccolo, il segnale modificato dal transito è estremamente piccolo. Il team ha compiuto quest’impresa attraverso il Telescopio Spaziale Hubble, guardando otto transiti del pianeta così da avere un maggior numero di informazioni rispetto ad un singolo transito, ed hanno combinato questi dati con quelli del Telescopio Spaziale Spitzer. Osservando le variazioni della luce della stella una volta attraversata l’atmosfera di K2-18b, i ricercatori sono riusciti non solo a dedurre la presenza di acqua, ma anche di acqua in fase di condensazione, ottenendo il primato per l’osservazione del ciclo dell’acqua su un altro sistema planetario. I ricercatori hanno elaborato tre possibili spiegazioni per le loro osservazioni: il pianeta non ha nubi e tra il 20 ed il 50% della sua atmosfera è costituita da acqua, oppure il pianeta ha nubi ma l’acqua è lo 0,01% o il 12,5%. Tutti e tre i casi riescono a spiegare le modificazioni della luce della stella. Le stesse osservazioni sono state confermate anche da un altro team che ha pubblicato i suoi risultati su ArXiv pochi giorni prima dell’articolo su Nature.
Il pianeta si trova sì nella fascia abitabile del suo sistema planetario, ma la sua stella è una nana rossa, un tipo di stella molto freddo che difficilmente potrebbe ospitare la vita, almeno per come la conosciamo noi. E a proposito di fascia abitabile, è sempre bene ricordare che se un pianeta vi si trova non significa che sia abitabile e men che meno che sia abitato, ma solo che potrebbe potenzialmente avere dell’acqua liquida sulla sua superficie, se ne possiede una. La vera notizia più che di tipo astrobiologico riguarda quindi la precisione della misura e dei metodi utilizzati che hanno permesso di vedere un dettaglio così minuto di un pianeta così piccolo ad una distanza così grande. Quando finalmente anche il James Webb Space Telescope sarà in funzione, potremo avere molto più facilmente informazioni su questo tipo di oggetto e potremmo forse definire in maniera più dettagliata l’abitabilità di un pianeta.
Fonte: Nature Astronomy