E se su Marte il piccolo passo fosse per una donna?
James “Jim” Brindestine, amministratore della NASA lo ha detto chiaramente: il primo essere umano su Marte potrebbe essere donna. Il suo è un annuncio politico, di giustizia sociale, ma per le missioni di lunga durata ci sono anche alcuni fattori medici e scientifici che devono essere presi in considerazione nella scelta del sesso degli esploratori di domani.
Lo spazio non ha mai brillato per quote rosa. Un esempio su tutti, negli ultimi 20 anni, tra i 128 astronauti che hanno preso parte a passeggiate spaziali attorno alla Stazione Spaziale Internazionale, solo 11 sono donne. E delle 218 passeggiate solo una, venerdì scorso, è stata eseguita da sole donne.
Sarebbe bello poter dire che questa scarsità di donne nello spazio sia dovuta a ragioni squisitamente medico-scientifiche, ma la realtà è che la vera parità dei due sessi è ancora un obiettivo lontano nella maggior parte degli ambiti, tra i quali quello scientifico ed astronautico non fanno eccezione.
Ci sono però effettivamente alcune questioni medico-scientifiche che devono e dovranno essere prese in considerazione nella selezione degli astronauti per le future missioni spaziali, soprattutto se di lunga durata. Gli astronauti sono infatti individui selezionatissimi, perché potendo inviare solo poche manciate di esseri umani nello spazio e dovendoli forzare in situazioni ambientali e di stress psicologico inimmaginabili per noi che stiamo con i piedi ben piantati a Terra, nulla può essere lasciato al caso.
Nel 2014 è uscito sulla rivista scientifica Women’s Health un compendio di sei studi che si propone proprio di analizzare le differenze tra i due sessi nell’ambiente spaziale. C’è da premettere in ogni caso che i risultati non possono essere che parziali, dato che proprio a causa della disparità nel numero di uomini e di donne, le affermazioni per il campione maschile si basano su un numero di individui molto più grande di quello femminile. Nel periodo cui fa riferimento lo studio (fino al giugno 2013), nello spazio erano andati in 534, di cui 477 uomini e 57 donne (l’11% del totale). Sulla ISS erano andati 129 astronauti NASA divisi in 103 e 26 tra uomini e donne (il 20% del totale).
I risultati di tali studi si possono riassumere come segue:
- Le donne sembrano più suscettibili all’intolleranza ortostatica, ossia, dopo il volo hanno più difficoltà a restare in equilibrio per lunghi periodi senza svenire.
- La VIIP (visual impairment intracranial pressure syndrome) è invece un insieme di disturbi oculari e alla vista che vari astronauti hanno sperimentato al rientro dal volo o anche durante lo stesso. L’82% degli uomini astronauti sono colpiti da VIIP, contro il 62% delle donne, e nelle donne i sintomi sembrano essersi verificati in forma più mite.
- Le donne, sulla Terra, mostrano in genere una risposta immonologica più potente degli uomini e quindi una resistenza maggiore alle infezioni e una maggiore efficacia nella risposta. Questa differenza non è stata per ora osservata nello spazio.
- L‘esposizione alle radiazioni cosmiche e solari è uno dei più grossi fattori di rischio nelle esplorazioni spaziali. Le donne sembrano essere più suscettibili alle forme di cancro indotte dalle radiazioni rispetto ai colleghi uomini e sono inferiori quindi i limiti di radiazioni cui possono essere esposte.
- Durante il viaggio verso la ISS, le astronaute sembrano essere leggermente più suscettibili alla Space Motion Sickness (l’insieme dei sintomi dovuti all’adattamento all’ambiente spaziale), mentre gli uomini hanno più difficoltà a riadattarsi alla Terra una volta rientrati.
- Gli uomini sembrano perdere più rapidamente l’udito ad alcune frequenze acustiche rispetto alle donne.
- Le donne sono più facilmente soggette ad infezioni del tratto urinario nello spazio rispetto agli uomini.
Oltre a queste osservazioni, che restano comunque in attesa di conferme con campioni statisticamente più rilevanti, non sembrano esserci significative differenze nella risposta psicologica o di comportamento durante il volo. Ciò è legato anche al fatto che la selezione degli astronauti avviene attraverso un rigido processo di scrematura psicologica e psichiatrica, proprio per ridurre la possibilità di disturbi di questo tipo durante le missioni.
Oltre a quelli medici, ci sono alcuni altri aspetti da tenere in considerazione:
- La massa, il consumo, i rifiuti. Mediamente le donne hanno una corporatura più esile e leggera, il che in un ambiente avaro di peso come quello delle missioni spaziali è un gran vantaggio. Soprattutto il vantaggio diventa ingente nel momento in cui si considera che una corporatura più piccola implica un consumo inferiore di cibo e risorse, e di conseguenza una minore quantità di rifiuti prodotti dalla digestione.
- La coabitazione. Sembra che gruppi di soli uomini riescano più facilmente in missioni brevi e con obiettivi ben definiti, mentre gruppi di sole donne potrebbero essere più adatti per periodi lunghi di coabitazione. Ciò potrebbe essere legato alla tendenza culturale che porta le donne a sviluppare maggiormente le abilità di comunicazione interpersonale.
- La gravidanza. Gli uomini non possono rimanere incinta, mentre le donne possono farlo anche con del seme conservato in provetta. Se in futuro si penserà seriamente alla colonizzazione di un altro pianeta, questo fattore dovrà essere preso in considerazione.
In un mondo in cui l’esplorazione spaziale acquista una sempre maggiore importanza, si fa strada la necessità sempre più forte di esaminare approfonditamente i punti qui riportati, i vari aspetti medici e le statistiche sulle risposte fisiologiche e psicologiche alle avversità dell’ambiente spaziale. Sembrano esserci buone ragioni per propendere per un equipaggio femminile, ma anche alcune per un equipaggio maschile o misto. Ad essere certa, in un mondo in cui la parità di opportunità tra i sessi deve essere un obiettivo da perseguire, è la necessità di avere un maggior numero di astronaute nello spazio.