Stonehenge e il solstizio d’estate, tra archeoastronomia e fantasia
Quando si parla di connessioni tra l’archeologia e l’astronomia, Stonehenge è sempre il primo luogo che viene in mente. Si tratta infatti di un luogo principe per lo studio archeoastronomico, perché molti aspetti lasciano intendere che la sua costruzione abbia tenuto in conto dei moti degli astri nel cielo. Tuttavia è bene mettere qualche puntino sulle i.
Innanzitutto è bene tenere a mente un particolare: le interpretazioni archeoastronomiche sono sempre molto problematiche, soprattutto se si va molto indietro nel tempo. L’archeoastronomia è una disciplina giovane, estremamente descrittiva ed estremamente complessa. È la ricerca delle connessioni tra i reperti archeologici e i movimenti degli astri, magari un allineamento tra un monumento e il moto apparente del Sole o tra una traccia sul terreno e una costellazione nel cielo. Ma tali allineamenti, per essere considerati di qualche validità e non pure coincidenze devono essere valutati all’interno di un ambito multidisciplinare, nel loro contesto socio-culturale, religioso ed economico, cosa che fin troppe volte viene trascurata per ricercare un po’ di sensazionalismo.
Un esempio celebre di osservazione di carattere archeoastronomico può essere l’orientamento sull’asse est-ovest, ossia quello su cui sorge e tramonta il Sole, di molte chiese e cattedrali più antiche, un allineamento estremamente simbolico adottato da società in cui sappiamo che la religione e i suoi simboli erano aspetti estremamente importanti della vita quotidiana. Se però ci spostiamo più indietro nel tempo, addirittura nella preistoria, le culture e i suoi simboli diventano sempre più complessi da conoscere e analizzare e le osservazioni archeoastronomiche sempre più fumose.
Cosa è Stonehenge
Stonehenge è un antico sito preistorico che si trova nel Wiltshire, in Inghilterra, nei pressi della cittadina di Amesbury, contornato dai verdi campi coltivati della campagna inglese e dall’autostrada A303 su cui le automobili sfrecciano ad appena qualche decina di metri di distanza. Stonehenge è un henge, un circolo di pietre circondato da un fosso circolare, anche se ha alcune caratteristiche che lo rendono unico rispetto ai suoi simili. Per quanto l’area fosse abitata già nell’8000 a.C., il monumento vero e proprio nacque attorno al quinto millennio avanti Cristo, nel fiorire della cosiddetta architettura megalitica, uno dei primi esempi di stili architettonici diffusi in tutta europa. Tale stile architettonico faceva ampio uso di menhir (pietre singole isolate, in fila o in cerchi di pietre), di dolmen (due menhir che reggono un’altra roccia, larga e piatta, posta in orizzontale) e di trilithon (due menhir che sorreggono una roccia orizzontale, come quelle di Stonehenge).
Il luogo in cui sorge, le pianure di Salisbury, non sembra avere nulla di particolare, ma per qualche ragione c’era molta attività megalitica. Oltre a Stonehenge sono infatti disseminate altre tracce di costruzioni risalenti all’epoca preistorica. Nel corso dei millenni Stonehenge è stato ricostruito più volte, in più fasi, anche se è difficile datarle precisamente dato che le datazioni sono perlopiù basate sulla materia organica che si trova in associazione alle pietre: pezzi di ossa, tessuti o legname.
Nel 3100 a.C. circa comparve un fosso circolare, profondo 2 metri, largo 110 e circondato dalla terra rimossa nello scavo. Era un sito di seppellimento collettivo, una sorta di fossa comune. Prova di questo sarebbero gli Aubrey holes, 56 buchi di circa un metro di diametro all’interno dei quali probabilmente avvenivano le cremazioni.
Circa nel 2600 a.C. iniziò la cosiddetta fase di Stonehenge 3, vennero portate le prime pietre e Stonehenge divenne un vero e proprio sito megalitico. Fu costruito un doppio anello di circa 80 pietre da 4-5 tonnellate l’una. Alcune di queste pietre erano bluestones, rocce arenarie provenienti dalle Preseli Hills, nel Galles, a 240 chilometri di distanza. Le bluestones sono più piccole delle altre pietre, alte circa 2 metri, ma lo sforzo necessario per trasportarle lungo quella distanza deve essere stato motivato da qualche ottima ragione, che però ignoriamo.
L’anello ha, e aveva già in quella fase, un’apertura verso Nord-Est. C’erano, anche se ora ne resta una sola, due Heel stones, pietre che indicavano l’entrata. Quattro pietre, le Station stones, formano un quadrilatero inscritto all’interno del cerchio, la traccia di una strada che va verso il fiume Avon e verso l’Altar stone, un gigantesco monolite isolato che si trova al centro del monumento.
Con Stonehenge 3II, tra il 2600 e il 2400 a.C., Stonehenge ha subito un’ulteriore trasformazione. Sono state portate le Sarsen stones, pietre enormi che provenivano da Marlborough Doms, 40 chilometri a Nord del sito. Le sarsen stones sono le classiche pietre a cui pensiamo quando pensiamo a Stonehenge, che formano un anello esterno e uno interno di dolmen. Le esterne formano una catena circolare di 30 pietre che sono state lavorate nella parte aerea, allargandosi curvando verso l’alto quasi volessero rappresentare una sezione di sfera. Su ogni pietra verticale ne poggiano due orizzontali, incastrate tra di loro con il metodo di giunzione a tenone e mortasa. L’anello centrale è invece costituto da cinque trilithons separati e disposti a ferro di cavallo.
Il ferro di cavallo è forse un sancta sanctorum, il punto più sacro del monumento che, venendo dalla strada, sembra il punto di arrivo di un cammino simbolico. Vedendo il monumento dall’esterno, il ferro di cavallo “riempie i buchi” facendolo sembrare solido, senza vuoti.
Tra il 2400 e il 1600 a.C. Stonehenge conobbe l’ultimo stadio della sua evoluzione. Le bluestones vennero ri-erette nel circolo di Sarsen stones e disposte a costituire un circolo e un ovale al centro dell’anello interno di pietre. Tuttavia più tardi la sezione nord-est del circolo è stata rimossa.
A cosa serviva Stonehenge
Un’idea chiara e definita della funzione di Stonehenge non la può possedere nessuno e peraltro è molto probabile che tale funzione sia anche variata nel corso dei millenni. Tuttavia sembra possibile qualche collegamento di tipo archeoastronomico, non raro all’interno della cultura megalitica.
L’asse originale della prima fase di Stonehenge punta infatti all’alba del solstizio d’estate, incorniciandolo se si potesse guardare tra la Heel stone e la sua compagna perduta, e le prime luci dell’alba arrivano a colpire proprio l’Altar stone nel circolo di pietre. Allo stesso modo, guardando dall’interno verso l’esterno, si incornicia il tramonto del solstizio d’inverno e le ultime luci del Sole colpiscono l’Altar stone. Questo allineamento potrebbe essere una mera coincidenza, ma questi due giorni, i solstizi, erano spesso associati alle idee di rinnovamento e rinascita, e sembra pertanto lecito ipotizzare che si svolgessero delle cerimonie religiose all’interno del circolo di pietre.
Il primo a notare tale allineamento fu William Stukeley, medico inglese che diede un contributo pionieristico nello studio del sito di Stonehenge. Era il 1720 e Stukeley osservò l’alba del Solstizio d’estate notando che la Heel stone non è in realtà perfettamente allineata, ma Stukeley ancora non sapeva che la pietra aveva una compagna ora perduta. Inoltre, a causa dei moti millenari del nostro pianeta l’inclinazione dell’eclittica (il piano su cui orbita la Terra e quindi la traiettoria apparente del Sole nel cielo) varia leggermente di secolo in secolo, dando luogo a una leggera variazione del punto di alba e tramonto del Sole. Per questa ragione, il punto di alba e di tramonto ai solstizi del terzo millennio a.C. doveva essere leggermente diverso da quello che osserviamo oggi.
Nel 1963 l’astronomo angloamericano Gerald Hawkins sostenne che gli allineamenti da osservare fossero molti di più. Non solo il moto del Sole, ma anche quello della Luna. Hawkins ritenne inoltre che Stonehenge era una sorta di calcolatore per eclissi solari e che bisognasse guardare agli Aubrey holes per trovare il meccanismo con cui era possibile predirle. Tra l’altro per calcolare gli allineamenti sospetti utilizzò uno dei primi computer, un IBM dell’Harvard-Smithsonian, con cui simulò le posizioni delle albe e dei tramonti del Sole e della Luna attorno al 1500 a.C. Hawkins pubblicò su Nature i suoi risultati, e pubblicò anche un libro che ebbe molto successo.
Altri nomi noti nello studio archeoastronomico di Stonehenge furono Peter Newman, astronomo, Sir Fred Hoyle, cosmologo, Alexander Thom, ingegnere. Il problema dei loro studi, così come quello di Hawkins, è che erano studi puramente matematico-astronomici: non tenevano realmente conto dell’inquadramento archeologico dell’Età della Pietra, non inserivano gli uomini di Stonehenge nel loro contesto socio-culturale. Un problema che, purtroppo, accomuna molti lavori archeoastronomici non realmente multidisciplinari, ricevendo spesso aspre critiche dal mondo dell’archeologia.
Un’ipotesi interessante, ma comunque problematica, è quella di Newman del 1966 dell’allineamento con i moti lunari. Le Station stones sembrano infatti descrivere un rettangolo in cui i due lati corti sono nella stessa direzione dell’asse del monumento e puntano verso l’alba e il tramonto dei solstizi. I due lati lunghi punterebbero invece verso i punti in cui la Luna sorge e tramonta al lunastizio, il momento in cui il nostro satellite raggiunge il massimo valore di inclinazione rispetto all’equatore celeste, e nel caso in cui l’alba lunare avvenga più a sud-est possibile. Generalmente la figura tracciata da queste pietre non potrebbe essere un rettangolo, se non ad alcune latitudini specifiche del globo. Nell’emisfero nord ciò avviene alla latitudine del canale della Manica e quindi, approssimativamente, anche a quella di Stonehenge. Non è possibile escludere che la posizione di Stonehenge sia stata scelta proprio per questo, ma un’azione di questo tipo avrebbe richiesto molte misure ripetute negli anni e un approccio metodologico quasi scientifico che potrebbe essere estemporaneo per gli uomini dell’epoca e, se ci fosse stato, non si capisce allora perché non sia stata scelta una regione ancora più a sud, verso la Manica.
Al giorno d’oggi, ogni anno migliaia di persone si radunano a Stonehenge durante il solstizio d’estate per cercare di rivivere un po’ quella magia che vivevano gli antichi uomini di epoca megalitica. Tuttavia visto che, come abbiamo visto, solo il tramonto del solstizio invernale si vede dall’interno del monumento, sembra più probabile che le cerimonie venissero fatte perlopiù in corrispondenza di questo evento, un’idea supportata anche da alcune evidenze archeologiche. Sarebbe quindi più corretto recarsi a Stonehenge nel freddo e grigio inverno inglese.