20 Luglio 1969: 51 anni dal primo allunaggio
Mentre Neil Armstrong e Buzz Aldrin scendevano verso la Luna, Michael Collins li attendeva in orbita lunare, (fra i 100 ed i 120 km d’altitudine), all’interno del Modulo di Comando “Columbia”.Il modulo lunare Eagle “ha toccato” la superficie lunare Il 20 Luglio 1969 alle ore 21:19 italiane. Poche ore più tardi, Neil effettuava i primi passi sulla superficie lunare, trasmettendo in diretta quelle parole che sono passate alla storia: “One small step for a man, one giant leap for mankind”. Ripercorriamo insieme la missione.
Il LEM
Il Modulo Lunare “Eagle” era composto da due parti: il modulo di discesa ed il modulo di ascesa. Il primo comprendeva i serbatoi di propellente ed il propulsore per la discesa, le zampe d’atterraggio ed una stiva non pressurizzata. Il secondo comprendeva i serbatoi di propellente ed il propulsore per la risalita, la cabina pressurizzata, ed il sistema di controllo d’assetto RCS.
Questa scelta su dovuta dal bisogno di mantenere la massa della navicella Apollo contenuta. Un lander tutto d’un pezzo avrebbe richiesto maggior carburante per le operazioni di discesa e risalita. Sarebbe servito anche un lanciatore più grande del SaturnV (ne abbiamo accennato qui).
La cabina era così angusta che al centro c’era una rientranza dove trovava posto la testa del propulsore di risalita. Aveva infatti un volume di soli 4,5 m3.
La Luna non è dotata di atmosfera. Quindi l’Eagle doveva portarsi da una velocità orbitale di circa 1,639 km/s a zero in pochi minuti con il solo ausilio del motore del modulo di discesa. Il modulo di risalita non sarebbe potuto tornare in quell’orbita con così poco carburante se la Luna fosse dotata di atmosfera.
Sulla Luna
I due astronauti rimasero per circa 8 ore sulla Luna, di cui 2 di attività extraveicolare in cui gli astronauti raccolsero più di 22 kg di rocce lunari, e posizionarono l’ALSEP a circa un centinaio di metri dal sito dell’allunaggio. Si tratta di un modulo che conteneva vari esperimenti: sismografo, magnetometro, spettrometro, misuratore di ioni, misuratore del vento solare. misuratore della conduttività e del flusso di calore, rilevatore di polveri, ed un riflettore laser. Dalle misure dell’intensità dell’attenuazione dell’onda sismica si possono ricavare dei parametri sulla composizione delle rocce lunari.
Da quel riflettore laser è stato possibile ricavare una stima più precisa della velocità della luce.
Attaccata ad una delle zampe del modulo di discesa, è rimasta anche questa placca:
La Risalita
Per alleggerire il modulo d’ascesa, dovendo ospitare anche i 22 kg di rocce lunari, si decise di gettare fuori tutti le attrezzature aggiuntive alle tute per le attività estraveicolari, come gli scarponi della famosa foto dell’impronta che proteggevano la tuta pressurizzata dalla vetrosa regolite lunare, gli zaini contenenti il supporto vitale per le EVA (attività extraveicolari) ed altre apparecchiature. Ciò non fu un problema per gli astronauti, che non dovendo più uscire fuori dai moduli potevano collegarsi al supporto vitale del modulo d’ascesa.
Dopo l’ascesa si ricongiunsero con il loro compagno Michael Collins che li attendeva nel modulo di comando. Completato il trasferimento, il modulo di ascesa fu separato dal resto dell’Apollo si mise in traiettoria per il rientro.
Eagle fu fatto schiantare volutamente sulla superficie della Luna per poter creare un terremoto artificiale e misurare così dei dati dal sismografo lasciato sul suolo. Destino non accomunato a tutti i moduli di ascesa, (ne abbiamo parlato qui).
Il Rientro
Avvenne il 24 Luglio, dopo 4 giorni di viaggio. Mentre la navicella si avvicinava verso la Terra, la sua velocità aumentava, portandosi da circa 1000 m/s (la velocità orbitale della Luna) a circa 10500 m/s.
Il modulo di servizio che ospitava il propellente ed il propulsore principale dell’Apollo si disintegrò nell’impatto con l’atmosfera, dato che non era provvisto di protezioni. La capsula di 5 tonnellate fu frenata grazie al solo attrito atmosferico.
Il modulo di comando incontrò l’atmosfera terrestre con un angolo d’impatto fra i 7,5 ed i 5,5 gradi, protetto dallo scudo termico all’atmosfera terrestre. Un inclinazione al di fuori di questo range avrebbe significato la perdita della capsula, che sarebbe avvenuta od a causa del rimbalzo sull’atmosfera terrestre venendo proiettata su un orbita non conosciuta, o sarebbe precipitata troppo velocemente, distruggendosi.
Dopo lunghi minuti di aerofreno, a circa 3000 metri di quota si aprirono i 3 paracadute, che accompagnarono “dolcemente” la capsula verso la superficie dell’Oceano Pacifico. Li recuperò la nave USS Hornet della marina statunitense.
La Quarantena
Dopo l’ammaraggio ed il recupero, i tre astronauti rimasero in quarantena per quasi un mese. Venne presa questa precauzione per evitare qualsiasi possibile contaminazione da possibili patogeni alieni perché ancora si sapeva poco sulla Luna. Questa procedura fu subito alleggerita per le missioni successive ed eliminata per le ultime 3 missioni. Infatti fu chiaro fin da subito che sul nostro satellite ci fosse un ambiente sterile a qualsiasi forma di vita, essendo sottoposta al vento solare ed ai raggi cosmici.