Storia della Scienza

Quando Bohr e Einstein si scontrarono sulla Meccanica Quantistica

Agli inizi degli anni Venti, due delle figure più importanti della fisica moderna si scontrarono a suon di lettere, conti ed esperimenti mentali su una teoria che aveva profondamente scosso l’architettura della fisica classica: la meccanica quantistica. È una “guerra” tra due caratteri forti, segnata da uno sconfitto e un vincitore, ma il loro battagliare era solo su questioni scientifiche perché tra Bohr ed Einstein si instaurò un rapporto di profonda ammirazione reciproca che non si deteriorò mai.

Niels Bohr e Albert Einstein provenivano da due contesti culturali differenti. Se Bohr nasce in una famiglia appartenente a una classe sociale elevata, Einstein proveniva dal ceto medio. Se il primo amava gli sport all’aria aperta (il calcio prima, il tennis poi e lo sci per tutta la vita), il secondo trovava ricca ispirazione quando suonava il violino e nella musica in generale. I paragoni potrebbero continuare, portando alla luce varie curiosità.[1] Entrambi però provavano una genuina ossessione per un solo argomento: la fisica.

Bohr e Einstein: due studiosi prolifici

Bohr pubblicò all’incirca duecento articoli, Einstein settanta in più. Entrambi pubblicarono i loro più importanti articoli da soli ed entrambi furono lavoratori instancabili. Nessuno dei due vene condizionato dai riconoscimenti ottenuti né si crogiolavano per i risultati raggiunti: la loro visione era volta a quello che non avevano ancora compreso. Entrambi conservarono una curiosità molto spiccata che, si sa, aiuta parecchio se ci si occupa di scienza.

Nel 1919 Einstein raggiunse la consacrazione nel mondo scientifico grazie alla conferma sperimentale, condotta con successo da Sir Arthur Eddington, della deviazione gravitazionale della luce. Nello stesso anno scrisse una lettera a Planck dicendo che Paul Ehrenfest lo teneva informato sulle idee di Bohr: “Deve essere una mente di prim’ordine, di grande intuizione e acume critico, che non perde mai di vista le linee fondamentali dei problemi”.[2]

Il primo incontro di Bohr e Einstein

Nell’aprile del 1920 Bohr andò a Berlino per presenziare per una conferenza sulle serie spettrali degli elementi. Durante il soggiorno berlinese ci fu il primo incontro tra Bohr e Einstein, che rimase letteralmente affascinato dalla figura del danese tanto da scrivere in una lettera successiva:

“Poche volte, nella vita, una persona mi ha dato tanta gioia con la sua sola presenza come è stato nel Suo caso. Ora capisco perché Ehrenfest Le è così affezionato. Sto studiando i suoi articoli (…) Da Lei ho imparato molto, in particolare dal suo atteggiamento riguardo alle questioni scientifiche.”[3]

La risposta di Bohr ci fa capire lo stretto legame, emotivo e scientifico, tra i due:

“Incontrarla e parlare con Lei è stata una delle mie più belle esperienze (…). Non può immaginare quale stimolo sia stato per me la possibilità, attesa da tempo, di ascoltare il Suo unto di vista sulle questioni di cui mi occupo”. [4]

Uno dei pochi contatti successivi fu quando a entrambi arrivò la notizia di essere stati insigniti del Premio Nobel per l’anno 1922. Infatti, nonostante sia ampiamente risaputo che a Einstein fu assegnato quello del 1921, in quel particolare anno il Comitato Nobel decise che nessuna delle candidature soddisfacesse appieno i criteri delineati l’assegnazione del premio, che fu quindi conferito solamente un anno dopo.[5]

Ancora una volta furono di elogio le parole che Bohr rivolse ad Einstein, affermando che essere premiato insieme a lui rappresentava il suo “massimo onore e la gioia più grande”. Einstein però non si poté recare personalmente a Stoccolma per ritirare il Premio perché si trovava in Giappone, ma riuscì a rispondere alla lettera del collega: “Posso dire, senza esagerazione, che la Sua lettera mi ha dato lo stesso piacere del premio Nobel medesimo”. [6]

La fisica sull’autobus

Nel 1923 Einstein, dopo aver presenziato ad una conferenza sulla Teoria della Relatività in Svezia, fu ospite di Bohr in Danimarca. Arrivato a Copenaghen, Bohr lo aspettava alla stazione, presero un autobus e iniziarono una conversazione piuttosto animata. I due erano talmente tanto concentrati che mancarono, e di parecchio, la loro fermata. Scesero e presero l’autobus che andava in direzione opposta, ma la loro attenzione era incentrata interamente sulle reciproche idee e superarono ancora la fermata giusta. Il tutto si ripeté un altro paio di volte, causando una probabile ilarità dell’autista e dei passeggeri, che vedevano questi due uomini che chiacchieravano e che puntualmente perdevano la loro fermata.

Bohr ed Einstein in uno dei loro colloqui. Credits: Wikipedia.

Prime opposizioni: i quanti di luce e la Teoria di Bohr-Kramers-Slater

La prima opposizione su questioni scientifiche tra Bohr e Einstein risale agli inizi degli anni Venti. L’argomento di discussione tra i due era sulla reale esistenza dei quanti di luce. Nel suo Annus Mirabilis (1905), Einstein aveva ipotizzato che, in particolari situazioni, la luce monocromatica a una certa frequenza si comportasse come fosse costituita da oggetti analoghi a particelle, cioè da quanti (denominati successivamente fotoni). Tra le applicazioni dell’ipotesi quantistica di Einstein spicca l’effetto fotoelettrico, che consiste nell’emissione di elettroni da una superficie metallica irradiata con luce avente una certa elevata frequenza.

Nel 1909 Einstein pubblicò un articolo[7] dove commentava l’idea del quanto di luce:

“È mia opinione che la prossima fase dello sviluppo della fisica teorica ci porterà ad una teoria della luce che potrà essere interpretata come una sorta di fusione tra la teoria ondulatoria e quella corpuscolare. Onde e quanti (..) non devono essere considerati incompatibili.” [8]

Nel 1920 durante un seminario tenuto a Berlino, Bohr espresse le sue prime perplessità sui quanti di luce. La sua posizione si delineò l’anno successivo, quando in un lavoro affermò che gli interessanti ragionamenti di Einstein sembravano mettere in dubbio la validità delle leggi di conservazione nei processi radiativi, piuttosto che dare credito alla teoria dei quanti di luce. Nel 1922, durante la consueta conferenza tenuta in occasione del Premio Nobel disse:

“Einstein fu portato alla formulazione dell’ipotesi dei quanti di luce secondo la quale l’energia radiante (radiant energy), in contraddizione con la teoria elettromagnetica della luce di Maxwell, non sarebbe propagata come onde elettromagnetiche ma come atomi di luce, ciascuno con un’energia uguale a quella di un quanto di radiazione (…). Nonostante il suo valore euristico, l’ipotesi dei quanti di luce non è in grado di chiarire la natura della radiazione”.[9]

Maxwell dixit: Bohr non ci sta

Ma perché Bohr si opponeva a questa nuova e significativa idea? In primo luogo, ed è un motivo più che legittimo in quegli anni, è che la teoria di Maxwell sulla propagazione ondulatoria dei campi elettromagnetici poggiava su solide basi sperimentali. In secondo luogo, era opinione comune pensare che i problemi sorti riguardassero l’interazione materia-radiazione, piuttosto che la radiazione in sé. Dunque, per cercare di difendere un fondamento della fisica come era considerata la teoria di Maxwell, Bohr mise in dubbio il principio di conservazione dell’energia per evitare di accettare l’idea dei quanti di luce.

È da sottolineare il fatto che la conservazione di tale quantità non era ancora stata verificata sperimentalmente per singoli fenomeni microscopici (come, ad esempio, per le collisioni elettrone-elettrone). Solo nel 1925 si arrivò ad avere le prime conferme. Anche Arnold Sommerfeld appoggiò questa idea, dicendo che “la cura più blanda” per riconciliare il punto di vista particellare e quello ondulatorio era abbandonare l’idea della conservazione dell’energia.

La rivoluzione di Compton

L’esperimento che cambiò tutto fu eseguito nel 1923 da Arthur Compton. Egli osservò quello che oggi è chiamato Effetto Compton: se facciamo incidere un fascio di raggi X duri (cioè con lunghezza d’onda minore di 0.1 nm) su un materiale, si osserva che i raggi diffusi con un certo angolo rispetto alla direzione incidente hanno una lunghezza d’onda maggiore rispetto a quella inziale, e quindi una frequenza minore. L’effetto Compton trova una spiegazione interpretando l’interazione radiazione-elettroni come un urto fra un fotone avente energia quantizzata (come Einstein affermava) e un elettrone libero. Si osserva inoltre che in questo urto la quantità di moto e l’energia si conservano. Compton aveva dunque dimostrato che i fotoni si comportavano proprio come dei corpuscoli. [10]

Arnold Sommerfeld commentò questo risultato apostrofandolo come “la scoperta più importante che si potesse fare allo stato attuale della fisica”. Sembrava dunque cessata la ricerca di una prova della non conservazione dell’energia, ma Bohr non sembrava particolarmente d’accordo.

Insieme a due giovani fisici che studiavano con lui a Copenaghen, Bohr propose la sua Teoria in risposta all’esperimento di Compton. Oggi è conosciuta come Teoria di Bohr-Kramers-Slater (abbreviata con teoria BKS) ma che fu vista, usando le parole di Werner Heisenberg, come “il culmine della crisi della vecchia teoria dei quanti”.[11]

L’ultimo anno della vecchia teoria dei quanti

L’articolo fu pubblicato nel 1924, che è denominato l’ultimo anno della vecchia teoria dei quanti. Difatti, in quello stesso 1924, Louis de Broglie con la sua tesi di dottorato dal titolo Recherches sur la Théorie des Quanta (Ricerche sulla Teoria dei Quanti) introdussel’idea del dualismo onda-particella della materia, gettando le basi per la meccanica ondulatoria che di lì a pochi anni venne sviluppata da Erwin Schrödinger.

Tornando a noi, Bohr nel suo articolo[12] abbandona l’idea dei quanti per rimpiazzarli con un nuovo concetto dovuto a Slater, quello di “campo di radiazione virtuale”. Citiamo dall’articolo: L’atomo ben prima della comparsa di un processo di transizione è in grado di comunicare con gli altri atomi mediante un campo di radiazione virtuale”.

Quindi l’emissione della luce non è un processo spontaneo secondo la teoria BKS, ma bensì un processo indotto. Il grande dubbio è, come puntualizza Abraham Pais nella biografia di Bohr, un atomo lontano che riceve il segnale luminoso da un altro prima che la transizione abbia luogo, trasgredisce il principio di causalità? Ovvero, può accadere che l’effetto si verifichi prima della causa?

In effetti nell’articolo viene citato a più riprese l’intenzione di abbandonare la causalità.

“Per quanto riguarda la comparsa di processi di transizione, che costituisce la mossa essenziale della teoria dei quanti, noi rinunciamo d’altro canto ad un accoppiamento in qualche modo causale tra le transizioni in atomi lontani, ed in particolare all’applicazione diretta del principio così caratteristico per la teoria classica della conservazione dell’energia e dell’impulso”. [13]

Ad Einstein questa idea non piacque affatto, tanto che in uno scambio epistolare con Max Born arrivò ad affermare, in riferimento all’abbandono della causalità, che “se così fosse preferirei fare il ciabattino o magari il biscazziere, anziché il fisico”.

La teoria BKS, che non è assimilabile a una vera e propria teoria dato che mancava di ogni caratteristica per essere denominata tale (come un apparato matematico), fu confutata da evidenze sperimentali già nei primi mesi del 1925.

La nascita della nuova teoria quantistica e il dissenso di Einstein

Dopo aver distolto la sua attenzione dalla teoria BKS, Bohr si concentrò sulla fiorente Scuola che a Copenaghen stava crescendo. In particolare, nel 1924, arrivò nella capitale danese un giovane alquanto promettente: Werner Heisenberg. La transizione dalla vecchia alla “nuova” teoria quantistica è affascinante e alquanto complessa e non è possibile descriverla qui nei minimi dettagli. Tratteremo sommariamente alcuni punti chiave. Bohr e Heisenberg furono i principali ideatori di quella che oggi viene chiamata Interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica (che sfrutta in modo particolare i lavori di Schrödinger e di Born sulle funzioni d’onda), che si fonda su alcuni principi base o postulati:

  • La meccanica quantistica è intrinsecamente indeterministica
  • Il modulo quadro della funzione d’onda di un sistema fornisce la probabilità per i risultati delle misurazioni (legge di Born)
  • Non è possibile osservare contemporaneamente il duplice aspetto di alcune rappresentazioni fisiche (come il dualismo onda-particella) durante lo stesso esperimento (principio di complementarità)

Durante il biennio 1925-27, che rappresenta il fulcro della nascita della nuova teoria, Einstein dava grande importanza gli sviluppi che la meccanica quantistica stava attraversando. Il suo interesse lo portò a una fitta corrispondenza con Heisenberg e Born nel quale esprimeva tutto il suo coinvolgimento: “Le vostre idee tengono tutti col fiato sospeso e occupano la mente di chiunque abbia interessi teorici. Alla cupa rassegnazione è subentrata una tensione eccezionale per individui dal sangue torpido come noi”.[14] E ancora sul lavoro di Schrödinger sulla meccanica ondulatoria: “Schrödinger ha pubblicato un paio di splendidi articoli sulle regole di quantizzazione”.[15]

Furono le ultime manifestazioni di approvazione per la meccanica quantistica di Einstein.

Prese una netta posizione contro Max Born quando, in un articolo, osservò che il modulo quadro della funzione d’onda è da interpretare come una densità di probabilità. In questa breve memoria si sottolinea la mancanza di determinismo nella meccanica quantistica. Lo stesso Born cita:

“Non si ottiene una risposta alla domanda: qual è lo stato dopo la collisione? Ma solo alla domanda: quanto è probabile un effetto della collisione (…) Da parte mia sono propenso a rinunciare al determinismo del mondo atomico. Ma questa è una questione filosofica per la quale gli argomenti fisici da soli non sono decisivi”.[16]

È forse questo il primo esempio di un dissenso che diventò poi permanente. Lo stesso Einstein rispose in una lettera a Born: “La meccanica quantistica è degna di ogni rispetto, ma una voce interiore mi diche che non è ancora la soluzione giusta”.[17]

Il fulcro del dibattito di Bohr e Einstein

Nel 1927 ci furono degli importanti avvenimenti che segnano alcune tappe fondamentali per il nostro racconto. Nel mese di marzo, Heisenberg formula il suo famoso principio di indeterminazione e, nel giugno dello stesso anno, scrive una lettera a Einstein dove afferma che l’indeterminismo sia necessario nel contesto della teoria quantistica. Il 16 settembre, al Congresso di Como, Bohr enuncia per la prima volta il principio di complementarità. Finalmente, nell’ottobre del 1927, si riunisce il Quinto Congresso Solvay, probabilmente uno dei più significativi dove erano presenti tutti i fondatori della teoria quantistica: da Planck a Dirac, passando per Einstein Bohr, de Broglie, Heisenberg e Schrödinger. Il tema del congresso era sugli elettroni e i fotoni e in molti, se non tutti, volevano sapere la posizione di Einstein sui recenti sviluppi della teoria quantistica.

In una delle sedute Einstein propose uno dei suoi classici esperimenti mentali. Si prenda un fascio di elettroni che colpisca uno schermo fisso sul quale è presente una fenditura; gli elettroni trasmessi formano la tipica figura di diffrazione, che viene vista su un secondo schermo. Per Einstein la meccanica quantistica non fornisce una descrizione completa dei singoli elettroni in questo tipo di esperimento perché, se abbiamo due punti distinti A e B sullo schermo, so che se un singolo elettrone è arrivato in A allora, istantaneamente, non è arrivato in B. Ma questo implicherebbe una particolare azione istantanea a distanza tra A e B, violando però il postulato della relatività sulla velocità della luce. Inoltre, nota Einstein, che in base all’esperimento di Bothe e Geiger sull’effetto Compton, non c’è limitazione alla precisione con la quale si possono osservare le coincidenze nei processi individuali.[18]

La risposta data a Einstein è che il principio di indeterminazione delimita la quantità massima di informazione che si può ottenere con un determinato apparato sperimentale. Infatti nell’esperimento di Bothe-Geiger si ottiene una localizzazione spaziale e temporale, ma si rinuncia ad una precisa informazione sull’energia e la quantità di moto. Inoltre, la teoria quantistica afferma che la posizione finale di un singolo elettrone non può essere prevista con certezza, ma che è necessario fare una predizione sulla probabilità che un elettrone arrivi in uno dei due punti dello schermo.

Il paradosso della scatola che confuta l’indeterminazione

Questo primo, timido, approccio culminò nel 1930 durante il sesto Congresso Solvay sul magnetismo. Einstein trovò un ragionamento piuttosto ingegnoso che sembrò confutare il principio di indeterminazione. Si prenda una scatola in cui è stato praticato un foro, che può essere aperto o chiuso tramite un dispositivo controllato da un orologio posto all’interno della scatola stessa. La si riempia di radiazione e infine la si pesi. Regolando il meccanismo di apertura, si può far aprire il foro facendo emettere un singolo fotone. Si ripesi la scatola. Così, almeno in linea di principio, si possono determinare con accuratezza arbitraria sia l’energia del singolo fotone sia, tramite l’orologio, l’istante esatto della sua emissione. Tutto ciò è in pieno contrasto con il principio di indeterminazione di Heisenberg per le variabili energia-tempo. [19]

Per Bohr fu un vero e proprio shock: non vedeva un’apparente soluzione a questo paradosso e rimase turbato per tutto il resto della serata. Ci viene dipinto un quadro della situazione dove “Einstein, con la sua figura alta e maestosa, camminava tranquillo, con un sorriso leggermente ironico, e Bohr che gli trotterellava appresso, pieno di eccitazione”.[20]

Albert Eintein in 1930, with Niels Bohr, at the Solvay convention, photo by Paul Ehrenfest.

La vittoria di Bohr

Ma chi trionfò fu Bohr, che respinse al mittente il tentativo di Einstein di confutare il principio di indeterminazione, ma questa volta tramite un ragionamento che si fonda sulla teoria principe del suo “rivale”: la teoria della relatività.[vedi nota 19 per i calcoli]

Quando peso inizialmente la scatola, leggo la sua posizione nello spazio grazie a un supporto graduato; la perdita di peso, dovuto alla fuoriuscita del fotone, viene compensata con l’ausilio di un contrappeso agganciato sotto la scatola. Questo peso riporta l’indice del supporto graduato nella posizione iniziale con un’incertezza Δq. Ovviamente anche all’operazione di misura è associata un’incertezza Δm. Ma quando aggiungiamo il contrappeso, questo imprime alla scatola una quantità di moto con relativa incertezza Δp che è legata alla Δq dalla relazione ΔpΔq = h.

L’apparato sperimentale di Bohr per l’esperimento mentale di Einstein

Con varie osservazioni, tra cui la più significativa è che il ritmo di un orologio dipende dalla sua posizione all’interno del campo gravitazionale, Bohr arrivò a una formula del tutto analoga a quella di Heisenberg. Il pericolo è scampato e la teoria quantistica è salva, almeno per ora.

Einstein non si arrese di certo, cambiò solamente il piano di attacco, pubblicando nel 1935 quel che oggi è chiamato il paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen (paradosso EPR), ma questa storia ci porterebbe troppo lontano. Vogliamo concludere con le parole che Bohr dedicò ad Einstein anni dopo la dipartita:

“Era una persona davvero soave. Voglio aggiungere che ancora oggi, anni dopo la sua morte, vedo il suo viso che mi sorride; un sorriso del tutto particolare, sapiente, umano e amichevole”.[21]

Note:

  • [1] Abraham Pais-Il danese tranquillo. Niels Bohr, un fisico e il suo tempo.
  • [2], [3], [4] Abraham Pais-Il danese tranquillo. Niels Bohr, un fisico e il suo tempo. pp.230-231
  • [5] https://www.nobelprize.org/prizes/physics/1921/summary/
  • [6] Abraham Pais-Il danese tranquillo. Niels Bohr, un fisico e il suo tempo. Bollati-Boringhieri p.232
  • [7] Physikalische Zeitschrift Vol. 10. No. 22, pg. 817 (1909), “On the development of our understanding of the nature and composition of radiation”
  • [8] citato in Abraham Pais-Il danese tranquillo. Niels Bohr, un fisico e il suo tempo.  p.233
  • [9] Niels Bhor- The structure of the atom. Nobel Lecture, December 11, 1922 https://www.nobelprize.org/uploads/2018/06/bohr-lecture.pdf
  • [10] Luigi Picasso- Lezioni di Meccanica Quantistica (Edizioni ETS)
  • [11] Abraham Pais-Il danese tranquillo. Niels Bohr, un fisico e il suo tempo. p.239
  • [12] N. Bohr, H.A. Kramers e J.C. Slater- La teoria quantistica della radiazione http://fisica.unipv.it/antoci/mq/Bohr24.pdf
  • [13] Citato in “N. Bohr, H.A. Kramers e J.C. Slater- La teoria quantistica della radiazione” p.5
  • [14, [15] Abraham Pais- Sottile è il Signore. La scienza e la vita di Albert Einstein, p.470.
  • [16] Max Born- On the quantum mechanics of collision
  • [17] Abraham Pais- Sottile è il Signore. La scienza e la vita di Albert Einstein, p.471
  • [18] Abraham Pais- Sottile è il Signore. La scienza e la vita di Albert Einstein, p.474
  • [19] http://www.lnf.infn.it/edu/incontri/2015/slides-corso-fisica-moderna/11mag/complementi/lightbox.pdf
  • [20] Abraham Pais- Sottile è il Signore. La scienza e la vita di Albert Einstein, p.475
  • [21] Abraham Pais-Il danese tranquillo. Niels Bohr, un fisico e il suo tempo, p.232

Bibliografia:

  • Abraham Pais- Sottile è il Signore. La scienza e la vita di Albert Einstein. Edizione italiana a cura di Tullio Cannillo. Universale Bollati Boringhieri
  • Abraham Pains- Il danese tranquillo. Niels Bohr un fisico e il suo tempo. 1885-1962, traduzione di Daniel Canarutto. Bollati Boringhieri

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