Si può vivere attorno al buco nero della Via Lattea?
Lo scorso 12 maggio abbiamo assistito allo storico annuncio della prima immagine del buco nero al centro della Via Lattea, Sagittarius A*. E’ stata prodotta dalla collaborazione internazionale di Event Horizon Telescope, la stessa che nel 2019 aveva prodotto l’immagine del buco nero della galassia M87. E oggi vogliamo porci questa domanda: è possibile vivere attorno al buco nero della Via Lattea? Ossia, ci può essere un pianeta abitabile che orbita attorno a un mostro cosmico di milioni di masse solari?
I Buchi neri non sono aspirapolveri
Cercare un pianeta attorno a un buco nero può sembrare assurdo, ma non lo è poi così tanto: un buco nero in effetti è solo una stella morta e un po’ troppo cresciuta, e un pianeta potrebbe in linea di principio orbitargli attorno proprio come attorno a una stella, perché in fondo per orbitare basta che ci sia una massa attorno a cui farlo.
Noi siamo abituati a pensare ai buchi neri come se fossero delle aspirapolveri che attirano la massa verso di sé, ma in realtà non è proprio così, perché dall’esterno i buchi neri sono masse come altre, e quindi se qualcosa gli orbita attorno non finirà necessariamente col cascarci dentro, così come la Terra non casca nel sole o i satelliti non cascano sulla Terra.
Quindi almeno in linea di principio un pianeta attorno a un buco nero può esistere. Ma a noi non basta, perché vogliamo anche che tale pianeta sia abitabile.
Un pianeta che sia abitabile
Quando studiamo un pianeta extrasolare, lo identifichiamo come potenzialmente abitabile se può trasportare a bordo acqua liquida e se può supportare la vita. Quindi, deve essere un pianeta che si trova nella cosiddetta fascia di abitabilità di un sistema planetario. Questa è la regione del sistema in cui i pianeti non sono troppo vicini e non sono troppo lontani dalla propria stella madre, e posso quindi avere la giusta temperatura per l’esistenza di acqua liquida.
Non significa necessariamente che ce l’abbiano, perché ci sono anche altri fattori che determinano l’esistenza di acqua. Innanzitutto il pianeta deve essere roccioso, altrimenti non c’è una superficie su cui si possa sviluppare la vita e su cui possa fluire l’acqua. Poi deve esserci un’atmosfera, e non tutti i pianeti ce l’hanno (pensiamo a Mercurio), e inoltre quest’atmosfera deve essere anche piuttosto densa, perché se non c’è abbastanza pressione atmosferica l’acqua non può essere liquida. E qui pensiamo a Marte: su Marte l’acqua c’è ma può essere solamente solida o gassosa, proprio perché la pressione atmosferica è troppo poca.
Ovviamente c’è un problema che rende questa definizione un po’ semplicistica: ci sono pianeti come Venere che si trovano nella fascia di abitabilità ma di certo non sono ospitali per la vita. Ci sono satelliti naturali di pianeti come le lune ghiacciate dei giganti gassosi, che sono fuori dalla fascia di abitabilità ma hanno acqua liquida e forse potrebbero anche ospitare la vita. Poi ci sono anche altri problemi di natura biochimica, per cui la vita altrove non necessariamente deve essere proprio come la troviamo sulla terra, e quindi basarsi sull’acqua. Ma questo lo lasciamo per un’altra occasione, ora torniamo al nostro buco nero.
La vita sotto un sole nero
Nel 2017 è uscito un articolo scientifico sulla rivista American Journal of Physics in cui due ricercatori cercano proprio di rispondere alla domanda se possa esistere o meno la vita attorno a un buco nero. Il titolo del paper è emblematico “Life under a black sun”, la vita sotto a un sole nero.
Lo studio è dichiaratamente ispirato a Interstellar, nel quale ci sono alcuni pianeti in orbita attorno al buco nero supermassiccio Gargantua. Hanno allora analizzato la questione dal punto di vista termodinamico. Per supportare la vita, dicono, ci deve essere una sorgente continua di energia utilizzabile dagli esseri viventi, quella che nel nostro caso è il Sole, e un modo per rilasciare l’energia di scarto in eccesso, che per noi è il vuoto cosmico in cui la terra si raffredda perlopiù sul lato notturno. Quindi calore in ingresso e calore in uscita, che creano una differenza di temperatura in cui può nascere la vita.
I ricercatori hanno avuto un’idea brillante. Il buco nero di per sé non emette luce ed energia, proprio per definizione. Un buco nero infatti è nero proprio perché la sua tremenda gravità crea una deformazione così forte del tessuto dello spaziotempo che neanche la luce riesce a sfuggirgli. Però nello spazio una fonte di energia c’è sempre, per quanto debole: è la radiazione cosmica di fondo. Rappresenta una sorta di eco luminosa del big bang. Brevemente, per i primi 300mila anni dopo il Big Bang, l’universo era estremamente denso e compatto, e la luce non era libera di diffondersi, perché era legata indissolubilmente alla materia. Ogni volta che un fotone si liberava veniva subito catturato da un’altra particella, rimanendo quindi intrappolato.
Ma l’Universo già allora si stava espandendo e diradando. A un certo punto, è divenuto così diradato da divenire trasparente e la luce ha iniziato a diffondersi. È proprio quella prima luce libera la radiazione cosmica di fondo, che permea tutto quanto l’universo e che poi ha continuato a raffreddarsi fino a raggiungere la gelida temperatura di 2,725 gradi sopra lo zero assoluto.
Quindi di per sé la radiazione cosmica di fondo è una sorgente di energia estremamente fredda e debole, inutile per la formazione di vita. Ma. Stando alla relatività generale, il tempo nei pressi del buco nero è dilatato, scorre più lentamente di quanto scorra per un osservatore esterno. Una delle conseguenze è che i fotoni nei pressi del buco nero avranno una frequenza diversa rispetto a quella che hanno per chi li guarda dall’esterno. La frequenza infatti è strettamente legata allo scorrere del tempo, perché rappresenta le oscillazioni nel tempo della luce. Quindi se cambiamo il modo con cui scorre il tempo, cambierà la frequenza dei fotoni.
Ma la frequenza di un fotone è anche indice della sua energia, perché se un fotone oscilla più rapidamente è più energetico. Quindi in un certo senso per chi si trova vicino al buco nero, i fotoni che vengono dall’esterno oscillano molto più velocemente, hanno una frequenza maggiore e quindi sono più energetici (una magia nota come blueshift gravitazionale). E questo vale anche per i fotoni della radiazione cosmica di fondo.
Se il nostro pianeta fosse abbastanza vicino al buco nero, potrebbe ricevere una maggiore energia da questa radiazione cosmica di fondo “riscaldata” grazie alla gravità del buco nero. In questo modo la sorgente di energia sarebbe la radiazione cosmica di fondo, e invece il luogo per lo scarto di calore sarebbe il buco nero stesso che assorbe energia senza poterla emettere.
Ancora non basta
Nel 2020 gli stessi autori hanno pubblicato un altro articolo su The Astrophysical Journal, in cui hanno approfondito la questione. Il loro risultato è che per far funzionare questa storia il pianeta deve trovarsi molto vicino all’orizzonte degli eventi del buco nero per ricevere abbastanza energia dalla radiazione cosmica di fondo.
Ma questo è un problema perché quella vicino all’orizzonte degli eventi è una regione piuttosto turbolenta, in cui è facile che il pianeta finisca col perdere energia e cadere dentro al buco nero. Gli autori sostengono che se il buco nero ruota abbastanza velocemente, è più facile mantenere la stabilità dell’orbita perché questa regione risulta meno turbolenta.<Affinché ciò avvenga però il buco nero dovrebbe ruotare molto velocemente, forse più di quanto sia tecnicamente possibile. Per un buco nero la velocità di rotazione più alta mai osservata è circa l’84% della velocità della luce. Il buco nero dovrebbe inoltre essere molto massiccio, più di 160 milioni di volte la massa del sole.
Contrariamente a quanto si può pensare, infatti, i buchi neri più piccoli sono molto più propensi a distruggere ciò che li circonda tramite le forze mareali, mentre quelli più grandi non lo fanno finché il malcapitato pianeta non si trova veramente molto vicino all’orizzonte degli eventi o addirittura dentro. Infine, il circondario del buco nero deve essere vuoto, altrimenti il pianeta rischia di trovarsi in mezzo al disco di accrescimento, oppure colpito dal getto di materiale e radiazione tipici di alcuni buchi neri supermassicci che si trovano al centro delle cosiddette galassie attive.
Insomma: un buco nero come Sagittarius A* non va bene. È troppo piccolo, con appena 4 milioni di volte la massa del Sole, e decisamente il suo circondario non è un posto particolarmente tranquillo. Ma il problema in realtà è ancora più a monte. La velocità di rotazione richiesta molto probabilmente è più alta di quanto sia fisicamente possibile per i buchi neri. Inoltre, il nostro pianeta dovrebbe trovare qualche via per inserirsi in un’orbita del genere, e i pianeti non è vengono dal nulla, ma hanno bisogno di un ambiente di formazione, che sia anche piuttosto tranquillo se vogliamo che arrivino a formare la vita. Infine, il buco nero supermassiccio al centro di una galassia tende a strappare materiale dalle stelle vicine, generando un ambiente pieno di radiazione energetica e piuttosto ostile per eventuali forme di vita.
Insomma, un pianeta attorno a un buco nero come Sagittarius A* non si può fare. Ma anche più in generale, dicono gli stessi autori, si tratta più di un esercizio mentale per il puro gusto di ragionamento: se anche potesse esistere un pianeta attorno a un buco nero, non potremmo mai osservarlo, visto quanto è stato complicato già osservare unicamente l’orizzonte degli eventi di soli due buchi neri.